Un’esperienza emotivamente forte, ma senza dubbio arricchente e in linea con le tematiche studiate in classe nell’ultimo anno di corso, ha coinvolto gli studenti delle Quinte del Liceo delle Scienze Umane e le loro docenti di Scienze Umane, Prof.sse Michelangeli Silvia e Rellini Antonella: un viaggio nel tempo che fu, cristallizzato all’interno della struttura dell’ex Manicomio Santa Maria della Pietà di Roma, di cui restano tanti padiglioni, alcuni in disuso e di fatto abbandonati, altri facenti parte attualmente del Poliambulatorio ASL Roma 1.
Il percorso, grazie alle guide che hanno illustrato la storia dell’Istituzione manicomiale, si è inoltrato tra i padiglioni realizzati nei primi anni del Novecento, quando, in seguito al concorso bandito per la progettazione di una “Città della e per la pazzia” , vinto dagli ingegneri Edgardo Negri e Silvio Chiera, fu individuata l’area di sant’Onofrio in campagna, presso Monte Mario, per ospitare tutti quegli “alienati” che lì sarebbero stati osservati e curati…
Ed ecco tanti padiglioni per tante categorie di alienati: Tranquilli, Sudici, Agitati, Semiagitati, Prosciolti, Sorvegliati… I padiglioni color arancio sono disposti ordinatamente nel parco che ospita una vegetazione variegata: molti sono gli alberi di tiglio, grandi e ormai vetusti, appositamente scelti all’epoca della costruzione perché emanavano e continuano ad emanare un profumo rilassante e curativo; e le siepi fitte che separano e nascondono quella malattia mentale che non può essere compresa davvero, che spaventa e imbarazza, dunque viene allontanata dalla “città dei sani e dei normali”…
Particolarmente suggestiva la visita al Padiglione 8 che ospitava i bambini, spesso orfani, abbandonati e malati, come ricorda e descrive nel suo libro “Passoscuro.I miei anni tra i bambini del Padiglione 8”, letto integralmente da alcuni studenti, lo psicoanalista Ammaniti che si trovò a lavorare negli anni ’70 proprio in questo reparto dei minori dell’Ospedale psichiatrico, dove i bambini erano legati ai letti e ai termosifoni, abbandonati e lasciati a se stessi,talvolta seminudi o vestiti di umili panni…
L’installazione multimediale, infine, ha reso possibile, grazie all’ologramma- narratore, ascoltare alcune storie vere, tratte dagli Archivi del manicomio, di pazienti che sono stati ricoverati nella prima metà del Novecento, non solo malati psichiatrici, ma anche donne, molte donne, giudicate stravaganti o lascive, bambini vivaci e monelli, bambini frutto di amori vergognosi…
La vita all’interno dell’istituzione “totale”, per citare Erving Goffmann, dimentica la persona, l’abbandona al suo destino, le toglie l’identità; grazie al rinnovamento della psichiatria, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, sono state riviste le forme tradizionali di trattamento dei malati psichiatrici, un processo lungo certo ma che ha progressivamente ridotto il ricorso a metodi di contenimento fisico e che ha provato ad instaurare nuovi e più umani rapporti con i malati, sulla scia del movimento dell’antipsichiatria e del grande Basaglia.
Questa esperienza arricchisce il percorso formativo delle Scienze Umane rendendo gli studenti più consapevoli di ciò che è stato: la malattia mentale merita di essere non solo conosciuta e riconosciuta, ma trattata con rispetto, perché chi soffre ha bisogno di essere curato e sostenuto, rispettando la sua dignità di persona.
Moltissime persone sono state internate, al di là del grande cancello, un cancello che segna un confine così labile tra “normali” e non … ma chi può decidere davvero e in modo assoluto cosa sia la “normalità”???