Giornata regionale della Cultura Classica “ Imitatio, Aemulatio, traduzione”, 29 maggio Liceo Classico Annibale Mariotti, Perugia
Leopardi e la traduzione dai lirici greci: il fr.1 West di Semonide di Amorgo
Contributo del Liceo Classico “F.A.Gualterio “ di Orvieto
Leopardi filologo e traduttore
L’interesse per Leopardi filologo e traduttore è progressivamente cresciuto negli ultimi decenni, studi recenti pubblicati in particolare in Leopardi e la traduzione. Teoria e prassi: Atti del XIII Convegno internazionale di studi leopardiani (Recanati, 26-28 settembre 2012), hanno posto l’attenzione sull’intensa attività di traduzione che Leopardi svolse per tutta la vita, a sostegno dei suoi studi filologici e poi della sua poesia e del suo pensiero, fornendo anche interessanti riflessioni di carattere teorico. La traduzione dai classici greci e latini nell’Ottocento è un’attività che impegnò con esiti notevoli anche Foscolo e alla fine del secolo Pascoli, ed anche per questi autori in particolare questa attività è strettamente connessa alla loro produzione poetica. L’espressione riferita a Leopardi dai suoi contemporanei ( Pietro Giordani) “sommo filologo, filosofo, nonchè poeta”, ci dice che nel suo tempo gli studi filologici e le traduzioni erano considerati di grande valore, tanto da avergli procurato ancora giovanissimo importanti riconoscimenti.
Il De Sanctis è autore di un commento della canzone “All’Italia”, nel quale è evidenziato il legame tra l’invenzione poetica e la traduzione, in questo caso di un frammento di Simonide di Ceo per celebrare i morti a Maratona. Leopardi scrive a Monti a proposito di questa imitatio: “ … procurai di rappresentare nella mente le disposizioni d’animo del poeta in quel tempo, e con questo mezzo, salva la disuguaglianza degli ingegni, mi apprestai a rifare il canto”.
Tra le traduzioni più importanti dal greco si possono considerare: La Batracomiomachia, in più versioni e con un contributo alle discussioni sulla datazione, gli idilli di Mosco e Bione, i lirici greci, in particolare Archiloco, Semonide e Simonide, Platone ed Epitteto. Leopardi ammirava, inoltre, in modo particolare lo stile di Luciano, che definisce “atticissimo ed elegantissimo” e a cui si ispira dichiaratamente per le Operette Morali.
Rispetto alla prassi della traduzione Leopardi afferma due concetti importanti in due passi dello Zibaldone:
“La piena e perfetta imitazione è ciò che costituisce l’essenza della traduzione”, Zib. 25 ottobre 1821
in questo pensiero c’è il concetto della fedeltà al testo, che per Leopardi è certamente importante e imprescindibile, ma con il richiamo al senso latino del termine imitatio, che presuppone un rapporto di relativa autonomia con l’originale. Molto interessante è, per il suo carattere di modernità, la considerazione che segue, nella quale, elogiando la lingua italiana, perché come quella greca possiede il carattere della libertà e della universalità, egli afferma che nel tradurre bisogna tutelare e difendere l’identità specifica di entrambe le lingue, senza che una prevalga sull’altra.
Ma l’esattezza non importa la fedeltà, ed un’altra lingua perde il suo carattere e muore nella vostra quando la vostra, nel riceverla, perde il carattere suo proprio, benchè non violi le sue regole grammaticali. … Laddove la lingua italiana può nel tradurre conservare il carattere di ciascun autore, in modo che egli sia tutto insieme italiano e forestiero. Nel che consiste la perfezione ideale di una traduzione e dell’arte del tradurre. Zib. 18 ottobre 1821
Infine dice che si deve creare un’empatia tra il poeta e il traduttore e lo fa introducendo un testo che amò moltissimo, il II libro dell’Eneide.
“E in leggerlo senza avvedermene lo recitava, cangiando tuono quando si convenia, e infuocandomi e forse talora mandando fuori alcuna lacrima. Messomi nell’impresa, son ben dirti io per prova che senza essere poeta non si può tradurre un vero poeta …”
Tra i poeti greci che lui sentì più affini a sé c’è senz’altro Semonide, lo prova il fatto che due traduzioni di questo autore furono inserite tra le sue poesie e costituiscono un ottimo esempio della sintesi tra rigore filologico e creazione poetica che caratterizzano le traduzioni leopardiane .
Il fr.1 west di Semonide di Amorgo come fonte del Dialogo di un venditore d’almanacchi e un passeggere
Di Semonide di Amorgo Leopardi tradusse il famoso frammento noto come la Satira delle donne , variamente ripreso da diversi autori, ma soprattutto tradusse il frammento 1 West e lo inserì nella edizione definitiva dei Canti da lui curata (1835). Va precisato che Leopardi non distingue tra Simonide, che ha ispirato la Canzone All’Italia, e Semonide, infatti il frammento ha un titolo che è “Dal greco di Simonide”.
Con il titolo “Versi morali dal Greco”, Leopardi comprende quei testi caratterizzati dalla riflessione esitenziale, di Semonide, Simonide, Archiloco, vicini alla sua sensibilità. Nel frammento c’ è una esortazione a sopportare i dolori, anche confortati dal pensiero del futuro, in una visione particolarmente negativa dell’esistenza. Il contesto è quello della parenesi nel simposio ad un giovane, identificato con il termine παισ nell’apostrofe iniziale.
fr. 1 west
ὦ παῖ, τέλος μὲν Ζεὺς ἔχει βαρύκτυπος
πάντων ὅσ’ ἐστὶ καὶ τίθησ’ ὅκηι θέλει,
νοῦς δ’ οὐκ ἐπ’ ἀνθρώποισιν, ἀλλ’ ἐπήμεροι
ἃ δὴ βοτὰ ζόουσιν, οὐδὲν εἰδότες
κως ἕκαστον ἐκτελευτήσει θεός.
ἐλπὶς δὲ πάντας κἀπιπειθείη τρέφει
ἄπρηκτον ὁρμαίνοντας· οἱ μὲν ἡμέρην
μένουσιν ἐλθεῖν, οἱ δ’ ἐτέων περιτροπάς·
νέωτα δ’ οὐδεὶς ὅστις οὐ δοκεῖ βροτῶν
Πλούτωι τε κἀγαθοῖσιν ἵξεσθαι φίλος.
φθάνει δὲ τὸν μὲν γῆρας ἄζηλον λαβὸν
πρὶν τέρμ’ ἵκηται, τοὺς δὲ δύστηνοι βροτῶν
φθείρουσι νοῦσοι, τοὺς δ’ Ἄρει δεδμημένους
πέμπει μελαίνης Ἀΐδης ὑπὸ χθονός·
οἱ δ’ ἐν θαλάσσηι λαίλαπι κλονεόμενοι
καὶ κύμασιν πολλοῖσι πορφυρῆς ἁλὸς
θνήσκουσιν, εὖτ’ ἂν μὴ δυνήσωνται ζόειν·
οἱ δ’ ἀγχόνην ἅψαντο δυστήνωι μόρωι
καὐτάγρετοι λείπουσιν ἡλίου φάος.
οὕτω κακῶν ἄπ’ οὐδέν, ἀλλὰ μυρίαι
βροτοῖσι κῆρες κἀνεπίφραστοι δύαι
καὶ πήματ’ ἐστίν. εἰ δ’ ἐμοὶ πιθοίατο,
οὐκ ἂν κακῶν ἐρῶιμεν, οὐδ’ ἐπ’ ἄλγεσιν
κακοῖς ἔχοντες θυμὸν αἰκιζοίμεθα.
Leggiamo una nostra traduzione del frammento:
Semonide di Amorgo
Fr.1 West
Zeus che tuona cupo, ha il fine di tutto ciò che esiste, giovane (che mi ascolti)
E (tutto) dispone come vuole, ma non c’è senno tra gli uomini, creature di un giorno,
(che) vivono come bestie, non sapendo quale fine darà un dio a ciascuno.
Speranza e fiducia (illusioni) nutrono quanti si affannano invano:
alcuni attendono che arrivi un giorno, altri il volgere degli anni.
Non c’è nessuno tra gli uomini che non creda che l’anno prossimo giungeranno per lui ricchezze e fortuna.
E invece uno prima che raggiunga il termine lo sorprende la triste vecchiaia, altri li consumano terribili mali, Ade manda sotto la nera terra quelli vinti da Ares, altri muoiono tra le onde
del mare purpureo in tempesta, quando poi non hanno più possibilità di vivere alcuni, infine, si uccidono e volontariamente abbandonano la luce del sole.
Così non mancano i mali, per gli uomini sono infinite le sofferenze e imprevisti sventura e dolori.
Ma se da me si lasciassero persuadere non ameremmo i mali né < ci tormenteremmo l’anima con
dolorose angosce.
E la traduzione che ne fece Leopardi :
XL
Dal greco di Simonide
Ogni mondano evento
È di Giove in poter, di Giove, o figlio,
Che giusta suo talento
Ogni cosa dispone.
Ma di lunga stagione
Nostro cieco pensier s’affanna e cura,
Benchè l’umana etate,
Come destina il ciel nostra ventura,
Di giorno in giorno dura.
La bella speme tutti ci nutrica
Di sembianze beate,
Onde ciascuno indarno s’affatica:
L’analisi di questa prima parte del testo ci permette di osservare che in diversi punti si sovrappongono termini puntualmente decodificati come “nutrica” che traduce τρεθει e “indarno” απρηκτοσ, con versioni libere come quella della frase iniziale, rielaborata da Leopardi che ne cambia la struttura sintattica (cambiamento del soggetto) inserisce una ripetizione per rafforzare il concetto del dominio del destino/Zeus sulla vita dell’uomo e non traduce l’epiteto
Rifacendoci al testo di Alfonso Traina, (Le traduzioni, in Lo Spazio letterario di Roma antica , Roma 1989) si può dire che la traduzione di Leopardi è il latino vertere, che prevede insieme imitatio ed aemulatio e che produce, quindi, nella prassi del tradurre l’integrazione delle due lingue e soprattutto un’autonomia che dà origine alla traduzione artistica, o meglio letteraria.
Ci è sembrata significativa l’attenzione che Leopardi ebbe per questo testo, che tradusse per la prima volta nel 1823 e che probabilmente rielaborò in modo definitivo negli stessi anni in cui pubblicò l’edizione definitiva delle Operette Morali, alcuni versi della traduzione di Semonide compaiono, a conferma dell’interesse per il frammento, anche nell’operetta “Parini o della gloria”.
Dal punto di vista del significato il testo presenta una evidente attinenza con il tema del Dialogo di un venditore di Almanacchi e di un Passeggere, in particolare vi si trova la rappresentazione della vita come sofferenza e l’enunciazione della speranza nel tempo futuro, come un bisogno insopprimibile dell’uomo, con l’esortazione finale a non lasciarci opprimere dai mali e dalle sventure.
Una osservazione, infine, può essere fatta sulla collocazione della versione poetica del frammento a conclusione dei Canti, così come il Dialogo del Venditore di Almanacchi e di un Passeggere è collocato a conclusione delle Operette Morali. Tale circostanza può essere utile per la lettura del pensiero leopardiano come un costante intrecciarsi del pessimismo che nega ogni illusione e del pessimismo che, pur rifiutando falsi miti e autoinganni, non si priva della speranza, appunto “la bella speme che tutti ci nutrica “.