Il Museo Laboratorio della Mente di Roma, collocato nell’ex-manicomio “Santa Maria della Pietà”, sulle colline di Monte Mario, è stato la meta dell’uscita didattica di Marzo delle classi Quarte e Quinta del Liceo delle Scienze Umane, perché la riflessione sulla diversità, in tutte le sue forme, accompagna e caratterizza il nostro percorso di studi: il “diverso” è per noi una risorsa da conoscere e valorizzare nella sua dignità e difendere, con tutta l’energia possibile.
Il manicomio romano, progettato nella forma attuale agli inizi del ‘900 come “Città della e per la pazzia” per rispondere “alle moderne esigenze di igiene e della tecnica manicomiale” era costituito da alcuni padiglioni “maschili” e “femminili”, di cui ancora oggi è possibile osservare la struttura, riservati a varie categorie di “alienati”, ricoverati in modo coatto: “osservazione, infermeria, tranquilli, sudici, semiagitati, agitati, prosciolti e sorvegliati”. Al piano terreno un’unica stanza, con porte e finestre ermeticamente chiuse, accoglieva tutti i pazienti, riuniti assieme in un vociare indistinto e assordante, sorvegliati costantemente dal personale dello staff, con modalità severe e di certo non compassionevoli. Al primo piano camerate con letti, spesso forniti di corde per immobilizzare i più pericolosi per se stessi e per gli altri, per una sorveglianza notturna continuata e implacabile. Il complesso manicomiale, isolato dalla città, era nascosto da una siepe; le recinzioni in muratura erano usate nei padiglioni riservati ai criminali e ai sorvegliati speciali. Il “Potere centrale”, in virtù delle sue Istituzioni segregative, “sorveglia e controlla”, allontana ed esclude chi non rientra nella categoria dei “normali” e tale consapevolezza suscita, in noi “visitatori”, inquietudine, quasi timore.
Il manicomio è un’ “Istituzione totale”, per dirla con Erving Goffman, annienta la persona, le toglie l’identità e la dignità; la vita degli “internati” è regolata minuziosamente, le azioni dei pazienti ripetitive, sempre eguali … L’impressione è quella di un luogo opprimente, dove l’uomo, in nome della scienza dell’epoca e delle tecniche mediche di allora, è totalmente dimenticato, abbandonato al suo destino, abbrutito, rifiutato…
Il percorso interattivo e le guide che ci hanno accompagnati hanno favorito il nostro contatto con la voce dei testimoni, con chi ha vissuto all’interno dell’Istituto e ha potuto raccontare.
Grazie all’opera rivoluzionaria del grande psichiatra Franco Basaglia e di tutti coloro che seguirono le sue indicazioni in Italia sappiamo che le cose iniziarono a poco a poco a cambiare, tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento … realmente … il Manicomio aprì progressivamente le sue porte e i reparti furono riorganizzati, perché l’ospedale psichiatrico così com’era concepito fino a quel momento, non riusciva a “curare” i pazienti, ma produceva malattia, peggiorava la malattia… Furono soppresse le terapie shock e ogni forma di contenzione fisica, e si favorirono le uscite in città dei cosiddetti “matti” …
Insomma, in fondo si trattava semplicemente di cambiare prospettiva: dall’ “esclusione” all’ “inclusione”… Eppure solo “uomini speciali”, “eroi della storia”, hanno potuto e possono traghettare l’umanità verso nuovi orizzonti, più umani e rispettosi della propria e altrui persona.
( CLASSI IV A / IV B LICEO SCIENZE UMANE)